03 Lug LA DONNA VERSO UNA NUOVA LIBERTÀ
Ci sono nomi (e titoli) evocativi, scelti per richiamare con forza il fulcro di un’azione collettiva. Il progetto “Le amiche di Eva” rientra esattamente in questa categoria: per la sua pluralità, di persone e professioniste; per quel riferimento alla prima donna raccontata nella Genesi; e perché Eva è il nome della prima donna entrata in una struttura protetta, insieme alla figlia. L’origine, appunto, di un percorso. Difficile, articolato, come quello che conduce dentro una tematica come la violenza di genere. Perché di donne vittime si occupa Elisa Giusti, assistente sociale responsabile dei Servizi Antiviolenza per la società cooperativa sociale Il Faro, che gestisce il centro di Macerata, Sos Donna, e gli sportelli territoriali di Civitanova Marche, Porto Recanati, Castelraimondo e San Ginesio.
“Le amiche di Eva”, come racconta Elisa, nasce proprio con l’obiettivo di far emergere il problema sociale e strutturale della violenza di genere, spesso nascosto dentro le mura domestiche, per poi sostenere un percorso di uscita in modo da garantire i principi di uguaglianza e pari diritti alle donne in difficoltà. “Il compito è quello di favorire l’autonomia e l’indipendenza femminile, che porta a recuperare serenità e fiducia in sé stesse. Inoltre, questo progetto ha la consapevolezza che una maggiore conoscenza e discussione delle questioni di genere influisca notevolmente sulla prevenzione della violenza; attraverso la promozione di principi, quali partecipazione, diritto di scelta, eguaglianza ed imparzialità”.
E in questo percorso ad essere coinvolti sono anche i figli, le stesse figure professionali e chiunque sia impegnato in un’ottica di genere. “Gestiamo – sottolinea – due strutture di prima e seconda accoglienza, dove le donne iniziano a fare un percorso verso una nuova libertà”.
“Nel mio lavoro incontro donne che hanno passato un momento della loro vita molto difficile – aggiunge Claudia Pettinari -, donne vittime di una violenza spesso agita dal partner, una persona di cui si fidavano. La difficoltà è quella di aiutarle e supportarle nell’uscita da questa violenza, lavorando con loro per aprire gli occhi”.
Una parte importante di questa attività è l’accoglienza in semi autonomia, come evidenziano Lucia Budassi e Francesca Borroni, effettuando con la donna un lavoro di reinserimento sociale (e quindi anche abitativo), oltre che lavorativo.
Importantissima, ribadisce Sara Stronati, è anche la funzione di ascolto e supporto, aiutando le donne a preparare un’udienza o qualsiasi altro incontro con le forze dell’ordine.
“Nel supporto psicologico – afferma Francesca Pigliapoco – l’attenzione viene rivolta alla raccolta della storia di violenza che la donna porta. Viene accompagnata poi nella ricerca delle risorse che la possono aiutare poi a reggere il percorso di uscita dalla violenza, anche nel supporto ad una genitorialità che rimane” E su questo versante, insieme a Luciana Del Grosso, è stato attivata una co-terapia per far sì che le mamme e i bambini sperimentino un ascolto reciproco.
“Il mio lavoro consiste nel fare sostegno psicologico ai bambini che si trovano all’interno della struttura – precisa Luciana -. Una prima parte del lavoro è basata sull’osservazione del comportamento, cercando attraverso il gioco di poter entrare in relazione con il bambino. E solo nel momento in cui riesco a trovare la porta, lui può fidarsi di me per raccontare le esperienze traumatiche che ha vissuto all’interno del sistema familiare”.
Cruciale, quindi, diventa l’azione di sensibilizzazione e formazione territoriale rispetto al fenomeno della violenza di genere e dei modelli stereotipati dei ruoli delle donne e degli uomini, portata avanti da Elisa e dalle sue colleghe promuovendo attività di animazione e comunicazione nei contesti scolastici e ricreativi dei giovani. Piccole (e buone) prassi condivise, tra “amiche” in cerca di libertà.
(testo, foto e video a cura di Andrea Braconi)
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