Un tema-chiave è quello del supporto nell’emergenza al sistema sociosanitario. La tenuta del servizio sanitario nazionale è stata infatti messa a dura prova, in modo particolare nelle regioni più esposte alla diffusione del Coronavirus e il personale medico-infermieristico ha pagato un prezzo altissimo, in termini di contagi e purtroppo di morti.

Il supporto ai medici di base, parallelamente all’obiettivo di sgravare il più possibile il sistema ospedaliero, è diventato un’esigenza primaria a cui si è cercato di fare fronte con diverse iniziative. Le Unità Speciali di Continuità Assistenziale (USCA), in particolare, sono state pensate per l’assistenza a domicilio dei pazienti affetti da Covid-19 che non necessitano di un ricovero.

L’esigenza di iniziative di questa natura era già stata avvertita in precedenza, come dimostra la sperimentazione avviata dal Progetto sperimentale di Modello organizzativo per l’integrazione dell’Assistente Sociale nell’Unità Territoriale Professionale della Medicina Generale che prevede la presenza di assistenti sociali negli studi associati dei medici di base, al fine di “affrontare la salute del cittadino nella sua globalità, promuovendo l’integrazione e il coordinamento degli interventi di natura sanitaria con quelli di tipo socio-assistenziale, per realizzare percorsi di presa in carico sociosanitaria che accompagnino il cittadino tenendo conto integralmente delle sue esigenze, con la massima attenzione per la qualità della vita”. Il progetto vede la partnership del Centro di Ricerca e Servizio sull’Integrazione Socio-Sanitaria (CRISS)dell’Università Politecnica delle Marche, del Consiglio Nazionale Ordine Assistenti Sociali, del Consiglio Regionale Marche dell’Ordine Assistenti Sociali, della Federazione Italiana Medici di Medicina Generale Marche, del Sindacato Unitario Nazionale Assistenti Sociali (SUNAS) ed è stato avviato inizialmente nella regione Marche, con il coordinamento scientifico della Prof.ssa Carla Moretti del CRISS.

La necessità di questo supporto deve essere riconosciuta al di là dell’emergenza, e oltre il ruolo cruciale che assume nella fase di progressivo allentamento del lockdown. Da qui si può partire, infatti, per progettare un sistema stabile all’interno del quale si realizzi un investimento sulla dimensione territoriale dell’assistenza e sulla continuità assistenziale, da attuare con l’integrazione tra sanitario e sociale e con una valutazione necessariamente multidimensionale.

Le USCA sembrano rispondere a un disegno organizzativo che contempli la valutazione multidimensionale, prevedendo al loro interno un ruolo fondamentale delle professioni sociali e del servizio sociale in particolare, essendo la presenza di questa professione esplicitamente prevista a supporto delle stesse USCA.

Nello specifico l’art. 1 c. 7 del Decreto Legge in esame prevede che

Ai fini della valutazione multidimensionale dei bisogni dei pazienti e dell’integrazione con i servizi sociali e sociosanitari territoriali, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale a supporto delle Unità speciali di continuità assistenziale […], possono conferire […] fino al 31 dicembre 2020, incarichi di lavoro autonomo, anche di collaborazione coordinata e continuativa, a professionisti del profilo di assistente sociale, regolarmente iscritti all’albo professionale, in numero non superiore ad un assistente sociale ogni due Unità per un monte ore settimanale massimo di 24 ore.

Si prospetta, quindi, l’assunzione di circa 600 assistenti sociali a livello nazionale. Si tratta di incarichi a tempo determinato; ma essi rappresentano, tuttavia, un riconoscimento importante del ruolo del servizio sociale nell’ambito dell’integrazione sociosanitaria, così come ha evidenziato il presidente dell’Ordine nazionale degli assistenti sociali Gianmario Gazzi.

 

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